(paragraph 13 of Chapter 7)

Matti. In fede mia, era un bel pezzo da mettere nel sacco, quel tanghero. E così si bevve un buon bicchiere. Poi indossammo i vestiti asciutti come la polvere e ci accomodammo per dormire al calor del fuoco. Ma non tenemmo a lungo gli occhi chiusi perché delle frecce magiche, simili a serpenti incandescenti, volavano per l’aria in ogni senso, da dare il capogiro. Heiskanen saltava in piedi ogni tanto, gridando: “Spengiti, freccia magica!” e più d’una ne cadde con sordo rumore nella foresta e nella grigia palude; ma la maggior parte continuava a volare nell’aria nonostante le grida. Una volta sentimmo uno strepito violentissimo e furioso che tagliò l’aria da nord a sud, e che fu seguito da un debole ma lungo sussurro. “Che malvagia potenza sta passando da quella parte?”, domandai a Heiskanen, che dopo un momento mi rispose sottovoce: “E’ il Maledetto in carne ed ossa”. Passò un’ora, ne passarono due, e l’aria leggera e nebbiosa sprigionava sempre del fuoco. Allora si sentì improvvisamente a est, al limite della palude, una voce simile al rumore degli abeti agitati, e subito, sull’altra riva, una seconda voce rispose, ma sottile come la brezza in un boschetto di betulla. “Cos’è questo rumore e questa brezza?”, domandai di nuovo, e Heiskanen rispose fiocamente: “E’ il Vecchio del Bosco che parla con sua figlia”. Finalmente la notte passò, apparve l’alba, e ci rimettemmo in cammino. Ed ecco, ai confini del bosco, vedemmo un lupo grigio cenere, grosso come un orso, fuggire con la velocità di una festuca portata via da un colpo di vento. A un tratto non vidi più che la sua zampa sinistra: imbeccai il fucile, e con un colpo riuscii a bucargli la pelle come fosse cartilagine, ma lui si salvò ugualmente. Gli avevo rotto soltanto una zampa, a quel povero diavolo.